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L'ambiente di lavoro nella Unione Europea: il difficile passaggio dal diritto alla pratica- Conferenza del BTS-CES 1-2 dicembre 1997 (Documenti)

L'Osservatorio del BTS sulla applicazione delle Direttive europee: un primo bilancio

a cura di Laurent Vogel - Bureau Tecnique Syndical Européen pour la Santé et la Securité

(Nota del traduttore: il testo tradotto in italiano non è stato rivisto con l'Autore: ogni imperfezione o travisamento rispetto al testo originale è di esclusiva responsabilità del traduttore)
 

Nota introduttiva  

Questo rapporto è basato su di una ricerca organizzata dal BTS in più anni sulla trasposizione delle Direttive Comunitarie . Nel corso di una prima tappa , abbiamo tentato di analizzare i differenti sistemi di prevenzione per vedere quale era l'impatto potenziale della direttiva quadro su ciascuno di essi.In una seconda tappa abbiamo seguito le trasposizioni della direttiva-quadro. Queste hanno seguito un percorso molto più tormentato di quello che si sarebbe potuto prevedere nel 1989 al momento della adozione unanime della direttiva da parte del Consiglio. In un terza tappa abbiamo cercato di affinare la nostra analisi dei problemi legati alle trasposizioni a partire dalla esperienza di un certo numero di altre direttive. Abbiamo scelto un campione di cinque direttive in ragione della loro importanza pratica, del loro carattere innovativo o del margine di imprecisione di alcune disposizioni in esse contenute che rendeva indispensabile un lavoro di interpretazione (1). Ci limitiamo qui ad una presentazione provvisoria e inevitabilmente sommaria di certi aspetti della nostra ricerca- Nel corso dell'anno 1998, il BTS pubblicherà un rapporto di sintesi globale che svilupperà i temi affrontate qui. 

Il nostro piano sarà il seguente. Una prima sezione descriverà il patrimonio comunitario costituito dalle direttive adottae sulla base dell'articolo 118/A. La seconda sezione presenterà un bilancio sintetico degli insegnamenti che si possono trarre dalle trasposizoni nazionali. Nella terza sezione indicheremo le ragioni che conducono l'ipotesi di una perdita di sostanza reale tra gli obiettivi e la lro applicazione nelle realtà nazionali. Formuleremo inoltre alcune proposte destinate a migliorare il passaggio dalle direttive alla pratica sui luoghi di lavoro.


1. Un periodo eccezionale di produzione normativa

La introduzione dell'articolo 118A nel Trattato comunitario tramite l'Atto Unico ha fornito la base giuridica della produzione normativa la più ricca in materia sociale. Quattro fattori almeno contribuiscono a spiegare il dinamismo comunitario nell'ambito dell'ambiente di lavoro in un periodo assai breve: (2)

2. Una conquista incontestabile

Le Direttive adottate tra il 1989 e il 1992 costituiscono una conquista incontestabile suscettibile di contribuire ad una armonizzazione nel progresso delle condizioni di lavoro.

Tra gli elementi positivi della direttiva -quadro, menzioniamo:

a) l'allargamento del campo di intervento tradizionale delle politiche di prevenzione all'insieme dei fattori che hanno una incidenza sulla salute nel lavoro;

b) la volontà di stimolare la partecipazione dei lavoratori;

c) la definizione dell'obiettivo della creazione di servizi di prevenzione multidisciplinari;

d) la formulazione dell'obbligo di sicurezza a carico degli imprenditori in termini incondizionati (salvo alcune eccezioni previste dall'art.5.4) mettendo fine alla clausola del "ragionevolmente praticabile" che era stata utilizzata nella produzione normativa anteriore (direttiva quadro del 1980);

e) la definizione di un campo di applicazione più vasto che nelle numerose legislazioni nazionali doveva permettere tra l'altro una unificazione o un riavvicinamento tra la funzione pubblica e il settore privato. La maggior parte delle direttive specifiche adottate sulla base della direttiva quadro contengono anch'esse delle regole suscettibili di migliorare le legislazioni nazionali. In certi casi , esse affrontano tematiche poco o mal affrontate anteriormente ( lavoro su schermo video, movimentazione manuale dei carichi) che permettono di arricchire le pratiche di prevenzione, evitando di limitare l'intervento agli infortuni sul lavoro e alle malatie professionali riconosciute e indennizzate. In altri casi, esse affrontano dei rischi la cui gravità specifica rende indispensabile un intervento più sistematico ( direttiva sugli agenti cancerogeni, sugli agenti biologici, sui cantieri mobili e temporanei). Altre direttive hanno la vocazione di coprire un vasto insieme di situazioni che riguardano delle quantità importanti di lavoratrici e lavoratori ( le direttive sugli strumenti di lavoro, sugli agenti chimici, in specifico).

3. Una conquista minacciata

Le acquisizioni normative del periodo 1989-1992 sono tuttavia minacciate. Dopo Maastricht (1992) le pressioni esercitate dal mondo imprenditoriale e da una parte degli Stati membri in vista di una deregulation hanno comportato delle conseguenze gravi: 1°) La produzione normativa è stata fortemente ostacolata.

a) La maggior parte delle direttive adottate a partire dal 1992 non contribuiscono che debolmente ad una armonizzazione nel progresso. Il loro livello è assai mediocre e spesso inferiore alle legislazioni esistenti in nunerosi Stati-membri .

E' certamente il caso della direttiva su certi aspetti della organizzazione del tempo di lavoro che rappresenta una minaccia seria in ciò che concerne la gerarchia delle norme che caratterizza il diritto del lavoro nella maggior parte degli stati membri. Essa non soltanto permette delle deroghe in pejus tramite la negoziazione collettiva, ma il suo art.18 prevede che gli Stati membri possono non applicare l'articolo 6 (il massimo di 48 ore settimanali) a condizione, tra le altre, che le misure adottate richiedano il consenso dei lavoratori superare il limite delle 48 ore e che dei registri di tutte le lavoratrici che superano questo limite siano tenuti e a disposizione delle autorità competenti.. In questo modo questa direttiva favorisce un ritorno alla finzione della libertà contrattuale individuale per paralizzare disposizioni che , nella maggior parte degi Stati membri, erano da sempre state considerate come riguardanti l'ordine pubblico. D'altra parte , la direttiva rimette in discussione la coerenza della direttiva quadro escludendo dal suo campo di applicazione numerosi settori che sono senza dubbio quelli che avrebbero potuto beneficiare di più delle disposizioni in essa contenute.

Critiche simili possono essere formulate rispetto le direttive sul lavoro dei giovani e sulla protezione delle lavoratrici incinte. Questa ultima non prevede il mantenimento della remunerazione durante il congedo di maternità e i periodi di dispensa dal lavoro in modo tale che la direttiva mette le lavoratrici in questione a fronte del dilemma : proteggere la propria salute con il rischio di una perdita di reddito talvolta importante o mantenere il reddito a detrimento della salute. La introduzione di clausole di non arretramento non cambia nulla a questo problema. Queste clausole sono redatte in tal modo che non hanno alcuna efficacia giuridica. Esse non fanno altro che riflettere l'imbarazzo del legislatore che non ha rispettato la esigenza di armonizzazione nel progresso.

b) La direttiva sugli agenti chimici è rimasta bloccata per molti anni e infine è in corso di adozione.  Altre proposte di direttive restano bloccate dal Consiglio dei Ministri e non sembra si possa prevedere la loro adozione in tempi rapidi (direttive sugli agenti fisici, sull'adeguamento dei mezzi di trasporto per i lavoratori handicappati). Delle direttive annunciate a diverse riprese, allo stesso tempo, non hanno fatto l'oggetto di proposte ufficiali da parte della Commissione (protezione dei lavoratori dell'agricoltura, informazione e formazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza). Pare che la sola direttiva che possa essere adottata in tempi ragionevoli concerne i ponteggi e/o impalcature e il lavoro in altezza.

c) Le revisioni di direttive previste esplicitamente (direttiva sul rumore 1986, sulle lavoratrici incinte del 1992) o rese indispensabili dalla evoluzione della situazione (la direttiva sull'amianto mantiene una linea d'impiego controllato quando invece la maggior parte degli Stati membri hanno adottato delle misure di interdizione dell'uso) non sono state oggetto di proposte formali da parte della Commissione.

2°) I principi stessi che ispirano la produzione normativa sono stati violentemente rimessi in discussione.

Differenti iniziative - il cui statuto e autori variano (3) - hanno avuto in comune l'obiettivo di volere subordinare l'armonizzazione nel miglioramento dell'ambiente di lavoro ad altre considerazioni. Questo è il senso dell'attività del gruppo tedesco inglese per la deregulation (formato nell'aprile del 1994 dai rappresentanti del mondo padronale con il sostegno dei governi tedesco e inglese), dal gruppo Molitor (creato per iniziativa della Commissione e il cui rapporto è stato reso pubblico nel 1995), dell'UNICE (e, in particolare, del suo rapporto sulla deregulation del giugno 1995).

Il ricorso presentato dal Regno Unito contro la direttiva sul tempo di lavoro perseguiva gli stessi obiettivi e rimetteva in discussione le basi stesse dell'art.118A. Se l'insieme di queste pressioni non hanno necessariamente avuto un esito positivo (la sentenza della Corte di Giustizia ha confermato la nostra interpretazione dell'art.118), esse hanno contribuito in modo efficace a creare un clima politico sfarevole al miglioramento dell'ambiente di lavoro.

La recente organizzazione , nei Paesi Bassi, di una conferenza sui rapporti "costi-benefici" nella definizione delle politiche di prevenzione riflette bene la crescente pressione tendente a far dipendere la vita e la salute dei lavoratori da considerazioni legati ai profitti delle imprese. (4)

A livello delle istituzioni comunitarie si può osservare una evoluzione simile che va dal summit di Edimburgo alla recente Conferenza intergovernativa di Amsterdam.

La caratteristica principale di questa evoluzione è il tentativo di condizionare la produzione normativa in materia di salute e sicurezza con criteri estrinseci (o estranei ndt) agli obiettivi perseguiti.

Questi criteri sono anch'essi descritti in modo molto vago (la competitività, l'occupazione, la creazione di piccole e medie imprese) e si basano su degli assunti incontrollabili, su correlazioni di causalità che potrebbero esistere tra il quadro legislativo e la realtà socio economica. In questo modo, nel piano proposto dalla Commissione agli Stati membri per redigere i rapporti sulla applicazione delle direttive concernenti la salute nel lavoro, si trovano delle domande sull'impatto di queste in termini di produttività, di occupazione e di competitività.. La Commissione non ha fornito alcuna sfera di vetro....

In generale si assiste a un tentativo di diluire la responsabilità politica delle autorità pubbliche per quanto concerne la vita e la salute dei lavoratori. Questo fenomeno si inscrive ad una tendenza pesante di rimessa in discussione dell'insieme delle tematiche nelle quali il movimento operaio era giunto a sottrarre alle logiche di mercato la forza lavoro, sottraendola al gioco puro e semplice del vincolo economico.

3°) Si può osservare una smobilitazione reale della Commissione

Il nuovo programma d'azione adottato dalla Commissione con un ritardo di tre anni (5) è centrato su azioni non-legislative. I temi presi in considerazione non sono particolarmente innovatori.

L'insieme del programma è in ritirata in rapporto alle proposte congiunte del padronato e dei sindacati del 1992.

In modo significativo, la Divisione Generale V (Affari Sociali) ha subito una riorganizzazione che ha ridotto in modo consistente il personale che si occupa di salute nel lavoro e ciò in un contesto ove il seguito della messa in opera delle direttive da parte degli Stati membri richiederebbe un lavoro raddoppiato.

La messa in campo dell'Agenzia Europea per la salute e la sicurezza a Bilbao è stata effettuata con un ritardo considerevole. Prevista per il 1992 in modo da coincidere con l'Anno Europeo per la salute e la sicurezza nel lavoro, la fondazione di questa Agenzia è stata decisa in occasione di un incontro tra Stati membri per la distribuzione delle sedi di diverse istituzioni e le sue attività sono cominciate solo nel 1997.

Per quanto riguarda il programma SAFE, presentata come la iniziativa comunitaria centrale del periodo 1996-2000, è sempre bloccato al Consiglio. Ma al di fuori del quadro specifico delle attività concernenti la salute nel lavoro, si osserva pure delle difficoltà crescenti a integrare i problemi della salute nel lavoro nelle altre politiche comunitarie.

4. Una conquista indebolita dai suoi propri limiti

Riconoscere che la conquista (le direttive) sono minacciate non ci porta ad idealizzarle. La difesa del quadro legislativo messo in campo è legato ad una riflessione critica su ciò che ne limita l'efficacia. A questo riguardo prenderemo in considerazione quattro elementi.

1°) I testi adottati contengono delle zone di ambiguità e di mancanza di chiarezza la cui funzione prinicipale è stata di ottenere un compromesso politico che permettesse, nei fatti, una rinegoziazione ulteriore. Ci limiteremo qui a qualche esempio.

2°) Alcune direttive sono talvolta poco coerenti in rapporto all'approccio generale della direttiva quadro

Allo stesso modo gli obiettivi concreti di prevenzione che derivano dalla direttiva movimentazione carichi manuali non costituiscono che una risposta molto parziale all'enorme problema sollevato dallo sviluppo dei disturbi muscolo scheletrici che sono legati all'aumento della produttività e ad una organizzaizone del lavoro che aggrava i vincoli temporali (i ritmi vincolati ndt). Nella stessa logica, la direttiva sul lavoro a videoterminale privilegia la prevenzione dei disturbi della vista e sottostima gli aspetti correlati alla impostazione ergonomica del lavoro, al contenuto del ompito lavorativo e alla concezione dei programmi operativi del software.

3°) La maggior parte dei testi adottati riflettono una concezione riduttiva del funzionamento dei sistemi di prevenzione.

I testi si limitano generalmente a riportare gli obblighi dei datori di lavoro in rapporto ai propri lavoratori senza affrontare gli altri livelli dei sistemi di prevenzione. Una tale visione frammentata della prevenzione, impresa per impresa, è relativamente poco efficace se non la si completa con obiettivi in materia di controllo, di socializzazione delle esperienze e dei problemi, di formazione e informazione nella società. Ritorneremo su questi aspetti nella terza parte.

4°) La legislazione comunitaria sulla salute nel lavoro ignora i legami che esistono fra la salute nel lavoro e i rapporti sociali di genere.

Vi è una incoerenza maggiore. Mentre la Direttiva quadro riconosceva l'importanza dei rapporti sociali che caratterizzano il lavoro, le direttive adottano sistematicamente un approccio che può essere descritto come "neutralità di genere" .

In questo modo ci si priva della possibilità di intervenire sui problemi della salute nel lavoro collegati ad una distribuzione differenziata e discriminatoria tra uomini e donne nei settori, attività, livelli di responsabilità, contratti di lavoro... E' questo che produce la debolezza, tra l'altro, della direttiva sulla movimentazione manuale dei carichi ( il cui impatto riguarda maggiormente gli uomini rispetto alle donne , nella misura in cui la direttiva non affronta l'usura fisica derivante dagli sforzi ripetitivi in quanto tali).

Una critica simile può essere indirizzata alla direttiva sul tempo di lavoro che parte dall'assunto che il tempo non lavorato all'interno dell'impresa è tempo di riposo e"dimentica" l'interazione tra il lavoro domestico non pagato e il lavoro salariato e allo stesso tempo essa non fromula alcun criterio in ciò che concerne il lavoro a tempo parziale che è prevalentemente femminile e la cui organizzazione può provocare dei danni considerevoli in particolar modo quando è organizzato in modo flessibile in funzione delle esigenze dell'impresa o spezzato con fascie orarie significative.

La sola direttiva ove, in modo significativo, le lavoratrici sono visibili concerne i rischi riproduttivi legati alla gravidanza e all'allattamento dei neonati, pure all'interno di un'ottica molto tradizionale. All'opposto, nei paesi scandinavi, la questione dei rischi legati alla gravidanza e alla maternità è integrata all'interno di un quadro generale ben più ampio che concerne i rischi correlati alla riproduzione.

Questo comporta un doppio vantaggio: le regole fissate riguardano sia gli uomini sia le donne evitando in questo modo di creare dei nuovi pretesti discriminatori; la protezione non si limita ad un periodo limitato della vita umana (la gravidanza ed un periodo limitato dopo il parto). Questa ultima caratteristica è importante perchè, in generale, i fattori che presentano dei rischi per le funzioni riproduttive costituiscono parimentoi dei rischi per la salute "in generale".

SECONDA SEZIONE: UN PRIMO BILANCIO DELLE TRASPOSIZIONI

1. La complessità delle trasposizioni

Qual'è stato l'impatto delle direttive nei differenti Stati membri? E' necessario distinguere due tappe : la prima tappa costituita dalle trasposizioni nazionali, la seconda riguarda il passaggio alla pratica nei luoghi di lavoro.

L'analisi concreta delle situazioni nazionali mostra tuttavia che esiste un intreccio di queste due tappe nel tempo. In effetti le trasposizioni non si limitano alla adozione dei testi legislativi che introducono le esigenze minime delle direttive nella legislazione nazionale. Più spesso le trasposizioni si presentano come una cascata di testi che partono da un primo atto di trasposizione di carattere generale e sbocca , in seguito, su di una moltitudine di testi applicativi con le forme le più differenti senza le quali le esigenze minime non saranno soddisfatte.

Illustreremo questa costatazione con due casi esemplari. Il Portogallo è stato il primo paese a trasporre la Direttiva quadro. Tuttavia il regolamento sulla partecipazione di lavoratori non è ancora stato adottato, a più di cinque anni dall'entrata in vigore del decreto-legge di trasposizione. In queste condoizioni, una parte essenziale dei dispositivi previsti dalla direttiva quadro è stata paralizzata.

In Italia, il decreto legislativo di trasposizione estende il suo campo di applicazione alla funzione pubblica, ma i budget adottati successivamente non prevedono il finanziamento della organizzazione della prevenzione in questo settore. Questa costatazione è importante: ogni controllo delle trasposizioni che si limitasse alla verifica della inserzione formale dei dispositivi delle direttive in un "testo" nazionale senza porre la questione della realizzazione effettiva degli obiettivi fissati sarebbe insufficiente. Torneremo ancora su questo tema.

Nel bilancio delle trasposizioni occorre tenere in considerazione i fattori oggettivi legati alle caratteristiche dei sistemi nazionali di prevenzione e dei fattori socio-politici che hanno condizionato le trasposizioni.

Le direttive comunitarie disegnano una sorta di modello dei sistemi di prevenzione. Non solo , questo modello è implicito, esso è ugulamente imperfetto nella misura in cui non copre l'insieme delle funzioni che un sistema di prevenzione deve assicurare. Infine , esso non è interamente coerente poichè le direttive si ispirano a diversi modelli nazionali. (6)

Questo non dovrebbe costituire un problema in sé. Se si tiene conto che le direttive comunitarie propongono delle prescrizioni minime, è chiaro che ogni sistema nazionale può mantenere o creare dei miglioramenti rispetto alle regole delle direttive.

Aggiungiamo a questi tre fattori che ci sembrano essere obiettivamente condizionati dai caratteri essenziali del processo di armonizzazione comunitaria (7) l'ambiguità di un certo numero di formulazioni che abbiamo già rilevato.

2. Situazioni molto diseguali nei differenti paesi

Se le direttive contengono degli elementi di innovazione per ciascun degli Stati membri, questi non si pongono tutti alla stessa distanza dagli obiettivi fissati dalle direttive. I sistemi nazionali di prevenzione in Europa sono caratterizzati da differenze importanti. Che si tratti di culture scientifiche e tecniche dominanti (medicina del lavoro nei paesi latini, igiene industriale in Gran Bretagna, sicurezza dei sistemi legata alla normalizzaizone tecnica in Germania); che si tratti di forme di partecipazione dei lavoratori, anch'esse strettamente correlate a dei contesti di relazioni industriali; che si tratti del ruolo degli attori pubblici (nature differenti di sistemi di ispezione del lavoro, articolazione reale o inesistente tra sanità pubblica e la salute nel lavoro, ecc..), la realtà variegata dei sistemi nazionali di prevenzione rende delicato ogni tentativo di armonizzazione.

A riguardo del modello implicito comunitario, le trasformazioni da compiere possono apparire come relativamente secondarie in alcuni paesi ( è il caso dei paesi scandinavi che , per quanto attiene all'essenziale adempiono alle esigenze minimali) o enormi negli altri paesi (Spagna , Germania per esempio). Sarebbe un errore ridurre questa diversità all'esistenza di ritardi nazionali.

Se esistono, è incontestabile, paesi ove i sistemi di prevenzione funzionano meno bene che in altri, il problema principale non è questo. Ogni sistema di prevenzione ha una storia e s'inscrive in contesti più ampi (8) che sarebbe assurdo volere ignorare. Ogni paese conosce delle situazioni ove la prevenzione è efficace e altre ove non lo è. La sfida non consiste nell'allineare tutte le situazioni nazionali su di un modello europeo del quale si forniscono letture talvolta mitiche, ma piuttosto nel conseguire gli obiettivi minimi sostanziali posti dalle direttive conservando tutto ciò che ciascun sistema nazionale può avere di più avanzato e di meglio adattato alle condizioni generali del suo paese.

A questa difficoltà obiettiva del lavoro di trasposizione occorre aggiungere delle condizioni politiche che non sono necessariamente favorevoli. Tutto questo contribuisce a spiegare delle disparità significative nelle trasposizioni nazionali. In un certo numero di paesi, non hanno modificato nulla di essenziale in ragione di una trasposizione minimalista che serve unicamente a provare che ci si è messi formalmente in regola senza porsi la questione degli obiettivi sostanziali da raggiungere. E' il caso , in larga misura , della Germania della Gran Bretagna e della Francia. In altri paesi, la pochezza dei cambiamenti si spiega piuttosto per il fatto che la legislazione esistente corrispondeva a grandi linee alle esigenze delle direttive (è il caso dei paesi scandinavi). Altrove , dei cambiamenti legislativi reali potrebbero sfociare su trasformazioni profonde. E' il caso dell'Austria, Spagna e Italia.

3. Una rimessa in discussione politica

Si può discernere come tendenza principale la rimessa in discussione dei principi politici sui quali gli Stati membri si erano messi d'accordo. La espressione più visibile di questo fenomeno è stato il mancato rispetto delle scadenze di trasposizione in numerosi stati, ma questa non è la manifestazione più grave. La maggior parte degli Stati hanno cominciato a sottostimare la portata reale delle direttive in rapporto ai sistemi nazionali di prevenzione e hanno creduto di potere minimizzare i cambiamenti da introdurre. Questa attitudine è stata facilitata dalla assenza di consultazioni sistematiche su scala europea tra gli Stati, la Commissione e le organizzazioni sindacali e padronali sugli obiettivi soatanziali delle direttive. Inoltre in certi paesi esisteva una chiara volontà politica di procedere ad una trasposizione minimalista (l'Inghilterra si espresse chiaramente in tal senso). In un secondo tempo, gli Stati membri si rendevano conto della necessità di introdurre delle trasformazioni talvolta profonde e si preoccupavano seriamente per la brevità delle scadenze o dei costi supposti delle misure che essi stessi avevano approvato. I dibattiti della seconda fase hanno sovrattutto messo in evidenza a qual punto le regole precedenti erano male applicate in maniera tale che la messa in opera delle direttive non poteva considerata semplicemente in rapporto allo stato precedente del diritto ( in rapporto al quale gli elementi di innovazione delle direttive non erano necessariamente dei più radicali) ma bensì in rapporto a delle pratiche padronali e amministrative caratterizzate dalla'adattamento verso il basso di queste regole.

La virulenza delle campagne padronali sui costi supposti delle direttive ha dimostrato il carattere illusorio delle tesi secondo le quali la salute e la sicurezza avrebbero cessato di essere elemento di conflitto tra il lavoro e il capitale. Da un paese all'altro, i calcoli dei costi possono essere moltiplicati per dieci o per cento senza che questi scarti trovino una spiegazione su riscontri obiettivi.(9)

Tra le soluzioni adottate dagli Stati membri si trovano differenti formule che permettono loro di destreggiarsi in attesa si un eventuale controllo da parte della Commissione.

E' in questo modo che l'Inghilterra non aveva adottato alcuna misura di miglioramento del sistema di rappresentanza dei lavoratori che restava subordinata all'arbitrio padronale (10) e si era data da fare ad aggirare la contraddizione tra la clausola del "ragionevolmente praticabile" della sua legislazione e l'assenza di una tale clausola negli obblighi di sicurezza della Direttiva quadro. In Francia , è l'articolo 7 della direttiva riguardante i servizi di prevenzione la cui trasposizione è stata dimenticata e la trasposizione delle direttive nel settore pubblico è stato differito.

Queste trasposizioni "mutilate" hanno portato a molteplici ritocchi, revisioni e, talvolta, regressioni che contribuiscono poco alla coerenza della materia e alla trasparenza nella sua applicazione. In questo modo, in Inghilterra, una nuova regolamentazione ha dovuto essere adottata in ciò che concerne la partecipazione dei lavoratori nel 1996 ma la questione del "ragionevolmente praticabile" resta tutta intera.(10)

In Francia , l'insieme delle regole applicabili alla funzione pubblica furono modificate nel 1995 ma la regolamentazione dei servizi di prevenzione diversi dalla medicina del lavoro resta bloccata. In Italia siamo al terzo decreto legislativo in poco più di due anni. Ogni decreto ha la funzione di correggere i suoi precedenti e sfortunatamente anche di ritardare l'applicazione delle regole.

4. Il problema della coerenza e degli obiettivi

L'insieme delle trasposizioni pongono il problema della coerenza dei testi adottati. Questa coerenza si inscrive in una doppia dimensione : quella del sistema nazionale di prevenzione e quella degli obiettivi comunitari. Nella misura stessa in cui l'armonizzazione comunitaria proposta non è una armonizzazione totale ( e ci pare giusto che sia così), la introduzione di nuove disposizioni si deve fare vigilando affinchè le diverse funzioni del sistema nazionale di prevenzione siano adattate ion rapporto agli obiettivi fissati. In altri termini, l'armonizzazione comunitaria non interviene che per un segmento di attività (più spesso, il rapporto tra lavoratori e imprenditori nei luoghi di lavoro) senza portare una risposta a ciò che conviene fare sugli altri segmenti.

A questo riguardo, si può sommariamente opporre due filosofie nella trasposizione. Una consiste nel limitarsi al minimo indispensabile e procede generalmente con "fotocopie". Questo permette di guadagnare tempo in rapporto alla Commissione (11) che non è molto dinamica nelle sue funzioni di controllo e tende ad un controllo formale della "traduzione" di qualche articolo in una legislazione nazionale. Se questo approccio dovesse generalizzarsi, bisognerebbe rinunciare per intero all'idea di una armonizzazione nel progresso. L'altro approccio consiste nell'intervenire in maniera articolata su tutte le componenti del ssitema nazionale di prevenzione che siano stati richiamati o meno dalla direttiva. E' soltanto in questo modo un miglioramento reale potrà risultare "dall'innesto" del diritto comunitario sul diritto nazionale.

Un tale approccio è certamente più difficile sul piano tecnico legilsativo poichè impone di considerare l'insieme delle interazioni tra una direttiva comunitaria e la regolamentazione nazionale.

Al contrario, esso è molto più fecondo, permettendo nell'occasione della trasposizione di una direttiva di procedere ad una riforma sistematica delle regolamentazione nazionali spesso inadeguate.

In questi casi, la trasposizione diviene una opportunità per superare i blocchi nazionali.

La trasposizone della direttiva sulla utilizzazione degli attrezzi di lavoro in Francia è rivelatrice della tensione che può essitere tra gli obblighi formali e l'obiettivo sostanziale di una direttiva. Al fine di raggiungere questo obiettivo, la trasposizione francese aveva previsto che gli imprenditori adottassero dei piani di messa in conformità permettendo all'ispezione del lavoro di verificare l'esistenza di un programma pianificato di trasformazione degli attrezzi esistenti che garantirebbe il rispetto delle esigenze della direttiva.

Questa esigenza non era formulata in alcuna parte in modo esplicito nella direttiva, ma era coerente con l'approccio della direttiva quadro che fa della adozione di un programma pianificato di prevenzione un elelento centrale delle pratiche di prevenzione nelle aziende.

Il padronato francese si è opposto con veemenza a quello che considerava come una trasposizione che andava al di là degli standard minimi ( gli argomenti padronali un pò confusi: essi se la prendevano ora con la direttiva stessa, ora con la trasposizione francese , ora con l'assenza supposta di trasposizione negli altri Stati membri).

5. L'inesistenza di un pilotaggio politico comunitario

Affinchè le trasposizioni siano coerenti, occorre parimenti che gli obiettivi siano chiaramente definiti.

Questo non avviene sempre nelle direttive.Questa situazione non sarebbe particolarmente preoccupante se la Commissione avesse messo in opera il dispositivo previsto dalla sua decisione del 24 febbraio 1988. Questa decisione permette una vasta consultazione dalle fasi della preparazione dei testi legislativi o regolamentari delle trasposizioni. Molti dubbi avrebbero potuto essere dissipati nella occasione di questa consultazione. Purtroppo dieci anni dopo la sua adozione , questa decisione è rimasta lettera morta.

Le trasposizioni sono state gestite ai livelli nazionali senza che fosse possibile discutere dei problemi comuni. Un esempio pressochè caricaturale è fornito dalla trasposizione dell'articolo 7 della direttiva-quadro nei differenti paesi. In Francia , le regole riguardanti i Servizi di prevenzione si applicano solo alla medicina del lavoro. Nei paesi scandinavi, in Olanda, in Spagna esse si applicano a dei servizi multidisciplinari e le autorità pubbliche hanno definito dei criteri di competenza relativamente precisi così come delle procedure di controllo. In Inghilterra, la definizione della capacità e delle competenze dei servizi di prevenzione è stata lasciata alla discrezione degli imprenditori. In Italia le regole adottate definiscono delle competenze precise , ma i Servizi riguardano l'insieme degli specialisti di prevenzione ad eccezione dei medici del lavoro.

Altre questioni comuni sono apparse in ciò che concerne la portata esatta della valutazione dei rischi. Esse hanno dovuto essere decise paese per paese e hanno contibuito a creare delle disparità importanti. Una cooperazione sistematica e un dibattito aperto ( che mettesse assieme le organizzazioni sindacali e padronali) avrebbero certamente permesso di sviluppare dei criteri più coerenti di trasposizione.

Terza Sezione: IL PASSAGGIO ALLA PRATICA

1. Difficoltà metodologiche

E' evidentemente troppo presto per potere pretendere di presentare un bilancio sistematico del passaggio alla pratica. Al di fuori della necessità stessa di un distacco temporale, noi urtiamo con difficoltà metodologiche di due ordini:

1°) Le direttive si rivolgono alla organizzazione della prevenzione e combinano , a giusto titolo, degli obblighi procedurali (ad esempio, procedere ad una valutazione dei rischi, costituire un servizio di prevenzione, disporre di un comitato di sicurezza e igiene, ecc) a delle esigenze precise concernebti un certo numero di fattori di rischio. Raccogliere dei dati affidabili e coerenti riguardanti l'insieme degli obblighi procedurali costituisce compito di una difficoltà considerevole. Noi possiamo , al meglio, proporre delle descrizioni generali che potrebbero essere completate utilmente a studi approfonditi su questioni particolari. Ma , sovrattutto, nulla garantisce che il rispetto delle esigenze minime per quello che riguarda gli obblighi procedurali sbocchi automaticamente sul miglioramento delle condizioni di lavoro.

2°) Un altro approccio possibile (e complementare) consisterebbe nell'osservare i risultati in termini di sicurezza, di salute e di benessere. A questo riguardo, conviene essere prudenti. Da una parte esiste uno scarto temporale evidente tra le misure di prevenzione adottate e la loro traduzione in termini di salute. Certe misure possono avere un effetto a breve termine ( ad esempio, il rimpiazzo di strumenti di lavoro pericolosi con strumenti che presentano buone condizoni di sicurezza), altre avrebbero effetti a lungo termine (ad esempio, la sostituzione degli agenti cancerogeni). Ma non ci sono solo i tempi che si frappongono tra le misure di prevenzione e i risultati riguardanti la salute.

In generale , gli effetti della prevenzione sulla salute passano attraverso una serie di mediazioni sociali che fanno intervenire dei determinanti delle condizioni di lavoro molto più essenziali. A dispositivi di prevenzione uguali, i tassi di disoccupazione, il livello disgregazione delle lavoratrici nei lavori sottoqualificati, il degrado derivante dalla precarizzazione del lavoro, la trasformazione della organizzazione del lavoro indurranno delle differenze significative per quanto riguarda la salute dei lavoratori.

2. Una necessità urgente per fare fronte al deterioramento delle condizioni di lavoro

Detto questo, tutti gli elementi di informazione disponibili mostrano che il passaggio dalle direttive alla pratica nei luoghi di lavoro è più difficile del previsto. La necessità di questo passaggio, per contro, resta di una urgenza incontestabile. Le inchieste realizzate dalla Fondazione di Dublino sulle condizioni di lavoro mostrano un deterioramento in una serie di campi. Questo dterioramento è legato, tra l'altro, alla precarizzazione e alla flessibilità e ad un aumento della produttività. La visione ottimista che si poteva avere una dozzina di anni fa  secondo la quale la crescita della produzione finiva per tradursi in un miglioramento delle condizioni di lavoro è smentita dalla realtà attuale. Assistiamo piuttosto ad una polarizzazione tra categorie di lavoratori per i quali le condizioni di lavoro migliorano e una massa crescente esclusi da questa evoluzione.

Noi tocchiamo qui una delle sfide tra le più importanti della prevenzione. L'allargamento del suo campo d'azione risponde a bisogni reali. La salute nel lavoro non consiste solo nella riduzione degli indicatori tradizionali dei rischi professionali. Ma questo implica che le attività di prevenzione propriamente dette (anche allargate) non coprono che una parte limitata dei determinanti della salute nel lavoro.

Le scelte strategiche in termini di produzione , di organizzazione del lavoro, i rapporti sociali che intrecciano il livello micro-sociale dell'impresa alla società in generale non sono l'oggetto dell'attività di prevenzione nel senso stretto del termine. Tuttalpiù si può domandare agli attori della prevenzione di fare chiarezza sulle scelte, di rivelare quali sono le conseguenze visibili di queste in termini di salute.

La costatazione dei limiti della prevenzione sbocca talvolta nell'idea che una integrazione crescente della gestione della sicurezza nel lavoro con gli altri aspetti della gestione dell'impresa apporterebbe una soluzione. Senza negare l'importanza di una tale integrazione, noi vorremmo insistere su questi limiti. Il più significativo è il seguente: la salute nel lavoro non è un obiettivo dell'impresa in quanto tale. Essa si inscrive in un contesto radicalmente differente della gestione della qualità o della produttività. Essa [la salute nel lavoro] si pone all'interno del confronto di interessi sociali distinti. La partecipazione dei lavoratori ha per scopo, precisamente , di permettere un confronto tra questi interessi. Da qui, tutto ciò che riducesse la gestione della salute nel lavoro alla elaborazione di un insieme coerente di misure tese ad assicurare la messa in atto degli obiettivi defiiti dalla direzione dell'impresa rischia di sboccare su attività di prevenzioe che danno la priorità a ciò che costituisce un costo diretto per l'impresa (infortuni, malattie riconosciute, assenteismo) a detrimento dei problemi la cui visibilità è negata perchè il loro costo è stato socializzato.

Il secondo limite è che la salute nel lavoro non si gioca sono a livello dell'impresa: la lotta contro le ineguaglianze uomini-donne, contro la precarizzaizone del lavoro e la disoccupazione, la definizione di obiettivi di salute pubblica che affronta le condizioni di lavoro oltrepassano necessariamente i limiti dell'impresa.

3. Le lacune nella architettura del diritto comunitario

Abbiamo già rilevato alcune lacune nella formulazione delle direttive che non definiscono sempre con precisione i risultati da raggiungere. Ma queste lacune sono secondarie in rapporto a quelle che si possono trovare nella architettura stessa del diritto comunitario della salute nel lavoro.

L'articolo 118A è stato oggetto di intepretazioni assai diferenti. Formulato in termini generali e volontariamente ambigui, esso fa riferimento "all'ambiente di lavoro", nozione nata nelle riforme scandinave degli anni '70 per superare l'approccio tradizionale della sicurezza e igiene . La interpretazione dominante del Consiglio e della Commissione - interpretazione che sia il movimento sindacale che il Parlamento Europeo si sono sforzati di combattere - è stata quella di limitare l'essenziale delle direttive sull'articolo 118A alle  regole riguardanti i rapporti tra imprenditori e lavoratori. Nulla è previsto per quanto concerne i meccanismi di controllo e di socializzazione senza i quali le politiche di prevenzione realizzate dalle imprese rischiano di sviluppare diseguaglianze tra i settori forti (ove una politica di prevenzione relativamente efficace può essere messa in campo) e i settori deboli. Ogni sistema nazionale di prevenzione è costituito da un insieme complesso di attori pubblici e privati.

Intervenendo solo nei rapporti tra gli imprenditori e i "loro" lavoratori, le direttive si privano esse stesse di strumenti efficaci.

Ci limitiamo a tal proposito ad un semplice esempio. E' poco utile prevedere una consultazione dei lavoratori sulla scelta degli strumenti di lavoro se non esistono banche dati che permettano di dare informazioni pertinenti. E' evidente che la creazione di tali banche dati supera largamente le competenze degli imprenditori individuali.

La dimenticanza delle responsabilità pubbliche e collettive nelle direttive è aggravato dalla evoluzione stessa del lavoro. In particolare, si può osservare un adattamento assai imperfetto tra le formule giuridiche prese in considerazione con il fenomeno di massa della precarizzazione della occupazione e del lavoro (12)

La moltiplicazione dei contratti "atipici", la riconcentrazione delle imprese su di un certo numero di attività considerate come essenziali e lo sviluppo del subappalto (con i subappalti a cascata, come noto), molti fattori concorrono a rendere sempre più inefficaci i dispositivi concepiti in funzione di lavoratori stabili in imprese di grande e media dimensione. Oltre al fatto che gli obblighi delle procedure (ad esempio, la creazione di comitati di sicurezza ed igiene , l'affiliazione ad un Servizio di medicina del lavoro, ecc) sono generalmente sottoposti a delle condizioni di "soglia" che escludono un numero importante di lavoratori, la precarizzazione implica dei rischi specifici per la salute che non si possono ridurre ai fattori materiali costitutivi dei rischi professionali tradizionali (sicurezza degli attrezzi ed equipaggiamenti, agenti chimici, fisici o biologici). Il rapporto sociale che sottende un lavoro precarizzato costituisce di per sè un ostacolo alla costruzione che è stato messo in evidenza da numerose ricerche recenti.

4. Come meglio assicurare il passaggio dai testi alla pratica?

Il passaggio dai testi alla pratica non risponde semplicemente ad una preoccupazione di sicurezza giuridica, si tratta di una sfida importante che richiederà l'impegno del movimento sindacale. Tra l'armonizzazione totale che ci appre illusoria ( e sarebbe pericolosa tenendo conto del contesto politico attuale) e la passività, ci sembra che è possibile trovare delle vie intermedie che riflettano l'esigenza di una armonizzazione nel progresso, vale a dire una evoluzione dei sistemi nazionali di prevenzione che raggiunga un doppi obiettivo: migliorare le situazioni nazionali e raggiungere un certo numero di obiettivi comuni.

A questo riguardo, gli scambi di esperienze, le differenti forme di cooperazione , la creazione di strumenti di socializzazione comune devono giocare un ruolo importante. Ciò porrebbe la necessità di procedere in parallelo con la creazione di un quadro adeguato di allocazione delle risorse. A nostro avviso , l'esperienza dei Fondi per l'ambiente di lavoro nei paesi scandinavi può costituire un esempio stimolante nella misura in cui non si limitino ad una semplice incentivazione finanziaria per fare rispettare gli obblighi delle imprese ma che giochino un doppio ruolo: di ordinamento sulla base di priorità chiaramanete definite e per la socializzazione delle esperienze.

1) Abbiamo già rilevato l'assenza di un pilotaggio politico comunitario nelle trasposizioni. Il problema non è solo quello di limitarsi alla interpretazione delle direttive. Numerose direttive , formulate in termini assai generici, rendono indispensabile l'adozione di strumenti di applicazione intermedi che forniscano indicazioni metodologiche che permettano il passaggio alla pratica. Eccetto qualche eccezione , questi problemi non sono stati affrotati eccetto che in contesti nazionali.

In Italia, la Conferenza delle Regioni ha prodotto numerose guide destinate a facilitare l'applicazione delle direttive. In Inghilterra, la Health and Safety Executive a sviluppato una attività intensa in alcuni campi (spostamento dei carichi manuali).. Sull'insieme di queste questioni, la messa in comune a livello dei problemi,delle esperienze e delle soluzioni potrebbe contribuire a preparare al meglio il passaggio alla pratica (14).

E' deprecabile dovere costatare che anche nei casi nei quali le direttive prevedevano esplicitamente interventi comunitari, come nel caso che riguarda la valutazione dei rischi per le lavoratrici incinte, il lavoro è stato fatto con un tale ritardo che non ha permesso di incidere sulle trasposizioni nazionali. (15).

2) La questione degli indicatori merita una attenzione particolare. Finora , la maggior parte dei documenti comunitari si limitano ad un assai vago riferimento alla quantità degli infortuni sul lavoro, in specifico agli infortuni mortali (tra i 6000 e gli 8000 a seconda degli anni presi in considerazione). Tali indicatori sono certamente rivelatori dell'ampiezza del problema di non rispetto degli obblighi di sicurezza (nessun altra forma di delinquenza ha un costo in vite umane così elevato), sono altrettanto insufficienti per definire una politica. Essi sono .....indicati per il fatto che provegono dai sistemi di compensazione finanziaria e non rappresentano, tutto sommato, che una debole parte dei problemi di salute e sicurezza nel lavoro. E' probabile che la mortalità provocata dalle malattie legate al lavoro sia nettamente superiore a quella che risulta dagli infortuni sul lavoro.

Un lavoro sistematico di raccolta dei dati e di elaborazione di indicatori di differenti ordini resta all'ordine del giorno.

La Fondazione di Dublino ha contribuito in maniera positiva a questo lavoro con le sue inchieste sulle condizioni di lavoro, ma non è meno vero che , nell'insieme ,il sistema comunitario è poco sensibile alla realtà.

La crescita dei danni muscolo-scheletrici, i problemi di salute mentale legata al lavoro, l'ampiezza del numero dei casi di cancro professionale cocstituiscono alcuni esempi di ambiti nei quali la anostra conoscenza della realtà resta frammentaria.

L'impatto della precarizzazione sulla salute non è oggetto di ricerche se non sul piano nazionale in un piccolo numero di paesi comunitari pertanto i dati sulla salute sul lavoro delle donne è praticamente inesistente.

3°) In modo complementare, un sistema di informazione comunitario sensibile alla evoluzione del lavoro dovrebbe raccogliere dati sistematici sui problemi legati alle attrezzature di lavoro, ai processi di produzione e alle ssotanze impiegate. Esistono delle competenze comunitarie nel campo della libera circolazione delle merci che sono sboccate su di una elaborazione che si prolunga - per quanto concerne le attrezzature - nelle attività di normalizzazione nell'ambito del CEN.

Queste attività non beneficiano praticamente delle informazioni sui problemi emersi nel corso della utilizzazione delle attrezzature, dei processi e delle sostanze.

Il BTS tenta di rimediare a questa lacuna con le sue reti di esperti sindacali, ma è chiaro che il nostro contributo è necessariamente molto modesto. Infine , è la complementarietà delle direttive adottate sulla base dell'articolo 118/A con le direttive del mercato unico che rischia di divenire sempre più problematica se l'esperienza dei luoghi di lavoro non viene sistematizzata per valutare i rischi dei materiali impiegati.

Un tale recupero di esperienze dovrebbe permettere di sistematizzare ugualmente i dati concernenti la sostituzione dei materiali dannosi che non lo sono o lo sono meno.

4°) La questione dei controlli meriterebbe ugualmente degli scambi di esperienze più sistematici.

Essi dipendono e continueranno a dipendere dalle competenze nazionali, ma esiste un interesse comunitario certo teso ad evitare delle importanti disparità nella applicazione delle regole comuni. Non si può che rilevare a qual punto, nell'insieme dei paesi esaminati, le sanzioni siano risibili in rapporto alla frequenza e alla gravità dei delitti commessi. La estensione dell'obbligo di sicurezza da parte dell'azienda all'insieme delle situazioni di lavoro sulle quali un imprenditore esercita il suo controllo ( quali che siano i rapporti di lavoro dei lavoratori: salariati della sua impresa, salariati di altre imprese, lavoratori indipendenti, ecc.) permetterebbe senza dubbio di meglio corripondere alla evoluzione del lavoro. La definizione di una gamma di sanzioni più diversificata potrebbe anche trovare i suoi prolungamenti nelle iniziative comunitarie. In Spagna la interdizione di entrare nei mercati pubblici per le aziende che hanno violato la legislazione per la sicurezza e la salute nel lavoro costituisce probabilmente una sanzione di grande efficacia. Le direttive riguardanti i mercati pubblici potrebbero essere modificate in modo da includere il rispetto dell'ordine pubblico e sociale come criterio di selezione. Allo stesso modo, è palese come il subappalto a cascata provoca delle situazioni inaccettabili sul piano della sicurezza. In questo ambito, ugualmente, sarebbe irresponsabile di non correlare la libera circolazione dei servizi a regole precise che pongano fine ad una concorrenza che si gioca sulla salute e la sicurezza dei lavoratori.

5°) La possibilità di ricorsi contro le trasposizioni insufficienti dipendono troppo dalla discrezione della Commissione. Senza entrare in dettagli tecnici, bisogna rilevare che le possibilità aperte ai privati di sottoporre alla Corte di Giustizia della UE denunce riguardanti trasposizioni insufficienti sono limitate alla sola procedura delle interrogazioni pregiudiziali che implica la coincidenza di una serie di condizioni difficile da realizzare.

A nostro avviso questa situazione potrebbe essere migliorata ispirandosi alla esperienza della OIT. Nulla impedisce di concepire un sitema basato su di una dualità di ricorsi: ricorsi giudiziari ( che potrebbero essere facilitati in diversi modi) davanti alla Corte di Giustizia della UE e ricorsi di natura politica nel quadro di un sistema tripartito coerente all'applicazione delle direttive.

6°) Le Direttive comunitarie contengono dei principi ispirati dal movimento degli anni '70. Questi principi non hanno perso la loro validità, ma la loro efficacia , in un nuovo contesto, è condizionata da due elementi inseparabilmente legati.

Il primo è la creazione di un nuovo rapporto di forza indispensabile per riaffermare la priorità della salute umana rispetto alle esigenze della competitività capitalistica. La seconda è la capacità di immaginare delle nuove modalità che permettano di coprire l'insieme delle situazioni di lavoro in un contesto caratterizzato dalla globalizzazione e dalla precarizzazione del lavoro.

Un rapporto di forza non si costruisce soltanto con la difesa delle conquiste del passato. E per questo che che le due esigenze non possono essere dissociate. Se è troppo presto per conoscere la musica dei prossimi anni , alcune note premonitrici spuntano qua e là.In numerosi conflitti recenti (UPS negli Usa, lo sciopero dei camionisti in Francia nel 1996 e 1997) le condizioni di lavoro hanno occupato un posto centrale. Questa "riapparizione" di un tema oscurato da altre priorità per circa un decennio costituisce un punto di appoggio prezioso.  


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