"Nuova competitività": gli
infortuni sul lavoro nel periodo compreso tra gennaio e
marzo 1999 sono stati 220.812, di cui 200 mortali; circa
due persone ogni giorno continuano a morire sul lavoro. 27 maggio '99 Questi sono i risultati delle ultime
rilevazioni dell'Inail che confermano un trend, in
proiezione, in aumento. Anche i dati definitivi del 1998
sono allarmanti 962.143 di cui 1343 mortali.Nel 1999
201.346 sono stati gli infortuni nell'industria, di cui
178 mortali e in agricoltura la somma degli infortunati
è stata di 19.466 con 22 lavoratori morti.
Nei primi 3 mesi del '99 nel comparto delle costruzioni
vi sono stati 19483 infortuni, 14.566 nell'industria
metallurgica e 7.283 in quella meccanica. Nel settore dei
trasporti 10.000 sono gli infortuni registrati nei primi
tre mesi.
Il quadro è allarmante, ma non inatteso. La
superficialità e lo scarso senso di responsabilità
presente nella cultura aziendale di molte imprese è uno
dei fattori determinanti questo fenomeno. Chi per due o
tre anni, dopo il recepimento del dlgs 626.94 , ha
continuato a fare ostruzionismo chiedendo rinvii ha gravi
responsabilità per questo fenomeno.
La riflessione che occorre sviluppare a tutto campo
riguarda:
1) La applicazione burocratico-formale del dlgs 626.94
non è un fatto casuale: a questo approccio superficiale
hanno contribuito molti soggetti, non ultimi una cospicua
platea di consulenti che hanno "legato il cavallo
dove voleva il padrone". In molti casi la
valutazione del rischio è stata fatta con la logica di
produrre un documento cartaceo messo poi a
"riposare" in qualche armadio, negandone in
molti casi la copia ai RLS. Alla valutazione dei rischi
non è seguita una pratica di "risk management"
che intervenisse nella riduzione del rischio o nella
pratica di attuazione degli stessi programmi di
miglioramento previsti nel documento...
Ma questo è solo un aspetto. Si è pensato che bastasse
avere un RSSP e un RLS più o meno sulla carta per
affermare che "la nostra azienda si è messa in
regola!!".
Il management aziendale ha pensato di ridurre
"l'area della perdita di tempo" rappresentata
dalla formazione a pochi soggetti aziendali.
Non si è lavorato
con una formazione adeguata su tutta la filiera dei
soggetti che nell'azienda contano concretamente nella
gestione della organizzazione del lavoro per trasformare
la mentalità di chi ha la responsabilità nella gestione
della organizzazione del lavoro.
Senza un management
capillarmente formato alla sicurezza non si può
praticare il "risk management". La
delega a figure con scarso potere come RSSP per l'Azienda
e il RLS per i lavoratori, in molti casi, ha ridotto la
questione della sicurezza ad un aspetto del tutto
marginale, a malapena sopportato con sufficienza, da chi
sviluppa i programmi produttivi e nella concretezza
definisce e modula i tempi e le modalità in cui i
lavoratori si trovano a lavorare..
Il fatto che i lavoratori non siano stati coinvolti in
azioni adeguate di formazione e informazione nasce da
questa subcultura superficiale che pone la questione
della sicurezza come optional collaterale da enunciare in
forma retorica quando c'è bisogno di
"immagine", ma di cui sbarazzarsi nella
quotidianità della organizzazione del lavoro.
Questi aspetti sono già stati denunciati più volte con
il risultato di ricerche empiriche anche su questo sito.
2) Il secondo aspetto riguarda invece la
"disinvoltura" con la quale si è praticata una
ristrutturazione selvaggia con la moltiplicazione di
situazioni di precarietà, di risparmio all'osso, di
appalti e subappalti, lavoro interinale pericoloso, del
quale assai spesso fanno le spese i giovani in cerca di
un qualsiasi lavoro cui vengono avviati senza un minimo
di informazione e addestramento per lavorare in
sicurezza.
Questa non è
modernità o occupazione o sviluppo: è solo una
regressione ad un modello rozzo e primitivo che produce
ricchezza drogata, spreca vite di giovani e scarica sul
sistema sociale costi enormi e insostenibili, materiali e
immateriali.
Ha ragione il
sottosegretario Caron quando afferma:"In Italia si
continua a morire di più che negli altri paesi
europei.Muoiono soprattutto i giovani sotto i 30 anni,
immessi a eseguire compiti di cui spesso non conoscono le
implicazioni..."
Occorre per davvero
passare dalla denuncia ad una nuova strategia politica.Su
questo siamo d'accordo con il presidente dell'Inail
Gianni Billia:"La grande sfida del sistema paese è
quella di rivedere l'organizzazione del lavoro,
innalzadone qualità e sicurezza. Occorre fare emergere
l'economia sommersa che si basa su processi produttivi
irregolari ed è quindi a maggior rischio di
infortuni..."
Sulle riforme degli strumenti istituzionali, dall'Inail
al sistema dei controlli della Ausl abbiamo scritto e
c'è molto materiale prodotto: si tratta di passare dalla
teoria alla pratica, di rompere lo stereotipo che :"ad
affrontare la questione della sicurezza si rischia di
mettere in ginocchio le imprese."
Al contrario: le imprese che non sono in grado di
gestire una organizzazione del lavoro sicura sono imprese
che non sanno evolvere e svilupparsi, sono "già
condannate" dalla propria incapacità a cambiare.
La responsabilità del sindacato: il sindacato è
responsabile,in molti casi, come i lavoratori, della
propria debolezza che deve essere rapidamente superata
mettendo in discussione il proprio modo di lavorare su
questa tematica.
I dati non
consentono giustificazioni o rinvii: è in gioco la
credibilità sulla capacità di rappresentare i
lavoratori nei diritti fondamentali, la sicurezza e la
salute.[gierre]
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